Lo sguardo dell’arte sulla sharing economy

In un recente articolo il Sole 24 Ore ha spiegato come il volume d’affari della Sharing Economy in Italia, sia stato, nel 2015, intorno ai 3,5 miliardi e come questo dato sia in forte crescita.
Secondo uno studio dell’Università di Pavia, si prevede che nel 2025 il giro d’affari possa valere almeno 14 miliardi di euro e persino raggiungere, secondo le ipotesi più ottimistiche, i 25 miliardi.
Il nostro Paese sembra amare molto questo concetto di economia, figlio della cultura web e digitale.
Sempre più sono le persone a cui piace condividere servizi, auto, case, ecc.
Si prevede, come precisa il Sole 24 Ore, che nel 2025 potrebbero essere 21,4 milioni gli Italiani che faranno “uso” di sharing economy.

Abbiamo pensato di parlare del fenomeno da un’angolazione un po’ inusuale, intervistando Karolina Lusikova, giovane artista e curatrice d’arte, che si affida alla sharing economy nella sua vita, ma che si trova anche a vederne e vivere gli interessanti risvolti nel campo dell’arte, dove sharing è un concetto “antico”, che oggi sembra essere particolarmente amato e in voga.

Legal Grounds: Karolina, ci racconti qualcosa di te e del tuo percorso?

Karolina: Sono una giovane artista di origine tartara che vive e lavora a Roma, da diversi anni. Conduco insieme a mia madre sotto il nome d G&K Lusikova una ricerca artistica che si ispira alla scienza e all’alchimia, lavoriamo a quattro mani creando opere su carta e ceramiche. Nei nostri lavori i ruoli e i tratti si confondono, sbocciando in un risultato finale dal carattere unico.

Il mio percorso è molto articolato da vari punti di vista. L’Italia è il terzo paese in cui vivo e quindi sono cresciuta in un mix di diverse lingue e culture, che senza dubbio ha influenzato positivamente la mia apertura verso gli altri e mi ha fatto sviluppare la capacità di ragionare secondo diverse prospettive. Faccio parte di NOW – New Operation Wave, una rete operativa che si propone di amplificare la comunicazione tra giovani artisti, curatori e studenti. Utilizziamo workshops dove si condivide tutto, perfino gli spazi per dormire.

Legal Grounds: Com’è entrato il concetto di sharing economy nella tua vita? E quali sono per te gli aspetti interessanti della formula?

Karolina: Sono venuta a conoscenza del termine in sé abbastanza di recente, ma mi sono subito riconosciuta nella sua descrizione: è parte del mio modo di vivere da sempre.
Penso che Sharing economy sia una nuova formalizzazione di modalità spontanee che esistono da molto tempo, ad esempio il baratto nel medioevo. Il web e la cultura digitale – grazie a siti e social networks che offrono una serie di servizi – hanno solo accelerato i ritmi e amplificato la portata del fenomeno, che in un tempo di crisi, come questo, si pone come stile di vita parallelo. Vi sono mondi, però, come quello dell’arte, in cui per alcuni è uno stile di vita da sempre.
Secondo me, prima di parlare di sharing economy bisognerebbe parlare di “sharing”- condivisione, che può esserci solo se ci si pone in un atteggiamento di apertura e comprensione del prossimo, l’economy è semplicemente una conseguenza.
Bisogna partire dalla domanda: ”Di cosa ha bisogno l’altro? Come posso essergli utile?”. Poi, valutare se gli interessi di entrambi si possono incontrare.

Legal Grounds: Perché, secondo te, arte e sharing vanno a braccetto dai tempi dei tempi e, in questo momento, in modo particolare? Forse perché gli artisti vivono da sempre la difficoltà del vedere remunerato il proprio lavoro, e sharing permette di risparmiare, oppure per la bellezza del condividere e dello scambiare?

Karolina: Credo che, in generale, sia sbagliato intendere la sharing economy solo come un modo per risparmiare: la condivisione è un concetto molto più profondo, antico e necessario all’essere umano. Per me la definizione stessa di artista si lega strettamente al comunicare e condividere con gli altri la propria visione, quindi l’arte è un territorio privilegiato di incontro tra diverse persone e discipline.
Il 3 settembre scorso, ad esempio, nell’ambito del progetto NOW, dopo una serie di attività che esploravano il concetto di limite, ci siamo accampati con le tende all’interno di No Man’s Land: un intervento site specific di Yona Friedman e Jean-Baptiste Decavèle, che ha trasformato un terreno privato in uno spazio che appartiene a tutti. In No Man’s Land troverete un prato con un arazzo di pietre, l’alfabeto immaginario di Yona Friedman inciso su più di 200 alberi di noce e una struttura di canne di bambù che riprende l’idea di museo senza pareti.
E’ in via di costituzione una Fondazione No Man’s Land che promuoverà in ambito nazionale e internazionale la filosofia del “progetto pilota” con la realizzazione o il patrocinio di progetti artistici e culturali di valorizzazione e rigenerazione di beni comuni, intesi in senso ampio quali beni (pubblici o privati) che offrono “servizi” al pubblico, alle comunità e alle generazioni future.
Per sua natura, l’opera di Friedman e Decavèle apre una serie di interrogativi e nuovi orizzonti in cui, sotto certi aspetti, c’è una sorta di vuoto normativo. Sembra quindi un caso molto interessante anche per la giurisprudenza, che potrebbe diventare un modello per opere o esperienze simili che vogliano essere realizzate in futuro.

Legal Grounds: puoi anticiparci qualcosa?

Karolina: io sono solo uno dei tanti elementi che hanno collaborato alla realizzazione e attivazione di No Man’s Land; renderlo legalmente una vera “terra di nessuno” (e di tutti) è una sfida per voi, “dottori della legge”…

(Roma, 26 Settembre 2016)

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