NESSUNA SCUSA PER CHI PAGA IN RITARDO

Con l’art. 10 della legge delega dell’11 novembre 2011 n. 180, il Governo, al fine di recepire la Direttiva 2011/7/UE , è stato delegato ad adottare un decreto legislativo per modificare il D.Lgs. del 9 ottobre 2002, n. 231 (di seguito anche il “Decreto”) relativo alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali con cui era stata attuazione alla Direttiva Comunitaria 2000/35/CE.

Al riguardo, in data 9 novembre 2012 è stato emanato il D.Lgs n. 192, pubblicato nella G.U. n. 267 del 15 novembre 2012 (il “D.lgs 192/2012”), con il quale sono state modificate ed integrate le disposizioni previste dal Decreto citato.

In generale, le disposizioni in parola prevedono, in caso di ritardato pagamento, la decorrenza automatica degli interessi di mora, senza quindi la costituzione in mora del debitore, con la determinazione di un tasso di mora molto elevato, qualora non sia contrattualmente previsto un diverso saggio di interesse tra le parti.

Rispetto alla previgente disciplina si segnala in particolare che il nuovo provvedimento interviene sulla definizione di Pubblica Amministrazione (portata in linea con la definizione di “amministrazioni aggiudicatrici” contenuta nel Codice Appalti), introduce la definizione di “interessi legali di mora” (sostanzialmente incrementati rispetto al precedente saggio di interesse) e una definizione di “importo dovuto” comprensiva anche di oneri fiscali. Inoltre, il nuovo provvedimento fissa dei “tetti massimi” per la data di pagamento delle fatture, precedentemente non previsti sia per le Imprese (60 gg), sia per le Pubbliche Amministrazioni (di regola 30 gg), con la previsione che comunque termini superiori a quelli previsti dal Decreto non possono essere “gravemente iniqui” per il debitore (per le Pubbliche Amministrazioni mai comunque superiori a 60 gg). Alle Imprese è poi consentito stabilire interessi diversi a quelli previsti dal Decreto (purché non “gravemente iniqui”), ma non alle Pubbliche Amministrazioni.

Con la riforma scompare inoltre dal, 2° comma dell’art. 7 del Decreto, la previsione della grave iniquità dell’accordo sulla data del pagamento che, non  giustificato da ragioni oggettive, ha come obbiettivo lo scopo di procurare al debitore liquidità aggiuntiva a spese del creditore o quello col quale l’appaltatore od il subfornitore (debitore) principale impone ai propri fornitori o subfornitori (creditori) termini di pagamento ingiustificatamente più lunghi rispetto a quelli ad esso concessi dai suoi creditori. In ogni caso, però, si ritiene che anche queste siano circostanze che il Giudice può prendere in considerazione per dichiarare la nullità delle clausole di cui all’art. 7 per grave iniquità nei confronti del creditore.

Infine, le nuove disposizioni prevedono a carico del debitore ritardatario anche l’addebito delle spese sostenute dal creditore per il recupero del credito ed un importo forfetariamente stabilito nella misura di 40 euro, a titolo di risarcimento del danno (fatta salva la prova del maggior danno). Le parti hanno tuttavia la facoltà di ridurre, ma non di escludere contrattualmente il risarcimento sia dei costi di recupero del credito che quello forfettario del danno subito dal creditore purché vi siano ragioni oggettive per farlo (e che sono piuttosto difficili da immaginare (art. 7, 2° e 4° comma).

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Ambito di applicazione e decorrenza. Le nuove disposizioni contenute nel D.Lgs. 192/2012, riguardano ogni pagamento effettuato a titolo di corrispettivo in una transazione commerciale sia tra Imprese e Pubblica Amministrazione sia tra Imprese e sono applicabili alle transazioni commerciali concluse a decorrere dal 1 gennaio 2013.

A tali fini:

– per “transazioni commerciali” si intendono i contratti, comunque denominati, tra Imprese ovvero tra Imprese e Pubbliche Amministrazioni (come definite nel nuovo provvedimento), che comportano, in via esclusiva o prevalente, la consegna di merci o la prestazione di servizi contro il pagamento di un prezzo;

– per “imprenditore”, si intende ogni soggetto esercente un’attività economica organizzata o anche una libera professione;

– per “pubblica amministrazione” si intendono le amministrazioni di cui all’art. 3 co. 25 del DLgs. 12.4.2006 n. 163 (Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture) e ogni altro soggetto, allorquando svolga attività per la quale è tenuto al rispetto della disciplina di cui al suddetto DLgs. 163/2006.

La nuova disciplina si applica quindi ai contratti aventi ad oggetto la consegna di merci o la prestazione di servizi, contro il pagamento di un corrispettivo o di un compenso, che intercorrono:

•          tra Imprese (di qualsiasi forma giuridica e di qualsiasi settore economico);

•          ovvero tra professionisti;

•          ovvero tra professionisti e Imprese;

•          ovvero tra Imprese o professionisti e Pubbliche Amministrazioni.

La ratio dell’intera disciplina risiede nel tentativo di riequilibrare il potere contrattuale nei rapporti fra le micro, piccole e medie imprese (le c.d. PMI) e le aziende di maggiori dimensioni o la Pubblica amministrazione che vede le prime come parte più debole, spesso esposte a subire condizioni “capestro” imposte dai contraenti più forti.

Gli obiettivi della normativa sono infatti la lotta al “ritardo di pagamento”, intendendo per tale il tempo intercorso fra la scadenza del termine di pagamento previsto nel contratto, cioè della c.d. “dilazione” di pagamento, e l’effettiva corresponsione del prezzo, e il contrasto della pratica commerciale, sin troppo diffusa, della previsione contrattuale di dilazioni di pagamento troppo lunghe (per esempio, a sei, dodici, quindici mesi, tipiche delle subforniture industriali e delle forniture di prodotti di largo consumo alla Grande Distribuzione Commerciale) che costringono la parte più debole del contratto a finanziare di fatto la più forte che può pagare a tempi molto lunghi mentre incassa i suoi ricavi a pronti oppure in tempi molto più brevi di quelli in cui paga i suoi fornitori.

Restano esclusi dall’ambito applicativo della disciplina in esame i debiti oggetto di procedure concorsuali aperte a carico del debitore, comprese le procedure finalizzate alla ristrutturazione del debito, ed i tutti i pagamenti effettuati a titolo di risarcimento del danno, anche da parte di un assicuratore in quanto la Direttiva Comunitaria riguarda i ritardi di pagamento nelle “transazioni commerciali”.

I riflessi sui contratti.

Termini di pagamento e interessi moratori. In base al disposto dell’art. 4 del Decreto in commento, gli interessi moratori (secondo la nuova definizione del provvedimento) decorrono automaticamente, cioè senza che sia necessaria la costituzione in mora, dal giorno successivo alla scadenza del termine per il pagamento.

Questi interessi decorrono e si calcolano sull’importo dovuto dal debitore al creditore che comprende “la somma che avrebbe dovuto essere pagata entro il termine contrattuale o legale di pagamento, comprese le imposte, i dazi, le tasse o gli oneri applicabili indicati nella fattura o nella richiesta equivalente di pagamento” (sotto forma di nota, conto, parcella, ecc.). Gli interessi moratori non sono dovuti dal debitore – acquirente solo nel caso in cui egli dimostri che “il ritardo nel pagamento del prezzo è stato determinato dall’impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile” (art. 4, 1° comma, art. 2, lettera g , ed art. 3).

Qualora le parti negoziali non abbiano disposto diversamente nel contratto, il secondo comma dello stesso art. 4 prevede l’applicazione  dei seguenti alternativi termini di pagamento:

i)               30 giorni dalla data di ricevimento della fattura (o di una richiesta di pagamento di contenuto equivalente) da parte del debitore;

ii)              30 giorni dalla data di ricevimento della merce o dalla data di prestazione dei servizi, quando non è certa la data di ricevimento della fattura (o della richiesta equivalente di pagamento);

iii)                30 giorni dalla data di ricevimento della merce o dalla prestazione dei servizi, quando la data in cui il debitore riceve la fattura (o la richiesta equivalente di pagamento) è anteriore a quella del ricevimento delle merci o della prestazione dei servizi;

iv)               30 giorni dalla data dell’accettazione o della verifica eventualmente previste dalla legge o dal contratto ai fini dell’accertamento della conformità della merce o dei servizi alle previsioni contrattuali, qualora il debitore riceva la fattura o la richiesta equivalente di pagamento in epoca non successiva a tale data.

Come anticipato sopra, i termini previsti dal secondo comma dell’art. 4 sopra commentato, possono essere pattuiti diversamente, entro certi limiti.

In particolare, nel caso di transazioni commerciali tra Imprese le parti possono pattuire un termine per il pagamento superiore a 30 giorni. In ogni caso, la clausola relativa a termini superiori ai 60 giorni deve essere espressamente pattuita e approvata nel contratto e non deve essere “gravemente iniqua” per il creditore. La pattuizione è “gravemente iniqua” (ai sensi del successivo art. 7 del provvedimento) se si discosta notevolmente (la norma utilizza il termine “grave scostamento”) dalla prassi commerciale in contrasto col principio di buona fede e correttezza (cioè la lealtà di comportamento nelle contrattazioni e nell’esecuzione del contratto), tenuto conto della natura del bene o del servizio oggetto del contratto e dell’esistenza di motivi oggettivi per derogare ai termini legali di pagamento (art. 7, 2° comma del Decreto).

Invece, con riferimento alle transazioni commerciali tra imprese e Pubbliche Amministrazioni, le parti possono pattuire, sempre in modo espresso e per iscritto, un termine per il pagamento superiore a trenta giorni – ma in ogni caso non superiore a sessanta – “quando ciò sia giustificato dalla natura e dall’oggetto del contratto o dalle circostanze esistenti al momento della sua conclusione”. In queste transazioni è nulla la clausola contrattuale che predetermina o modifica la data di ricevimento della fattura da parte del debitore. In questo caso la nullità della clausola è dichiarata d’ufficio dal Giudice.

Il termine di pagamento è sempre di sessanta giorni se il debitore è un ente pubblico che fornisce assistenza sanitaria o se è tenuto al rispetto dei requisiti di trasparenza finanziaria di cui al Decreto Legislativo n° 333 del 2003 (art. 4, 4° e 5° comma, ed art. 7, 5° comma).

Infine, le parti possono concordare termini di pagamento a rate (purché ciò non violi le disposizioni in tema di lotta al contante). In questi casi, qualora una delle rate non sia pagata alla data concordata, gli interessi moratori e il risarcimento del danno e dei costi di recupero del credito previsti dagli artt. 4, 5 e 6 del Dlgs 231/2002 così come modificato dal Dlgs 192/2012 sono calcolati esclusivamente sulla base degli importi della rata o delle rate scadute (art. 4, 7° comma).

Determinazione degli interessi di mora. Il Decreto prevede (sulla base del combinato disposto degli articoli 2 e 5 che gli interessi moratori sono determinati nella misura degli “interessi legali di mora”, vale a dire, calcolati su base giornaliera, ad un tasso che è pari al tasso di riferimento maggiorato di otto punti percentuali. Ad oggi, considerato che il tasso BCE è pari all’1%, la misura degli interessi legali di mora si attesta quindi circa al 9%.

Nelle transazioni commerciali tra Imprese, le parti possono però concordare un tasso d’interesse diverso, sempreché la clausola per la determinazione degli interessi non risulti ancora una volta “gravemente iniqua” per il creditore. Al riguardo il Decreto chiarisce che sono considerate inique le clausole che: i) escludano l’applicazione di interessi di mora e ii) che escludano il risarcimento per i costi di recupero del credito.

Dal quanto sopra si evince altresì che al contrario nelle transazioni commerciali in cui è parte la Pubblica Amministrazione gli interessi di mora sono sempre determinati nella misura degli “interessi legali di mora”.

Il creditore ha inoltre diritto al risarcimento dei costi di recupero delle somme non tempestivamente corrisposte (vale a dire delle somme non corrisposte nei termini contrattualmente convenuti od in quelli previsti dalla legge che abbiamo esaminato sopra), cioè di tutti i costi dell’attività di recupero crediti, salva la prova del maggior danno che può comprendere i costi di assistenza (per esempio, legale) per il recupero del credito e sempre che il debitore non dimostri che la causa del ritardo non è a lui imputabile.

Conclusioni. La nuova normativa ha un’applicabilità molto ampia. Pertanto, con riferimento ai contratti commerciali stipulati a far data dal 1 gennaio 2013, sarà opportuno per ogni Impresa verificare nella propria documentazione contrattuale la presenza di clausole relative ai termini di pagamento, interessi di mora ecc. per evitare, ad esempio, le condizioni più onerose previste dal Decreto in caso di assenza di pattuizioni, nonché in ogni caso la loro conformità o meno alle previsioni del Decreto.

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