Il termine lungo per l’impugnazione decorre dalla data di deposito anche se diversa da quella di “pubblicazione”

“A norma dell’art. 133 c.p.c. la consegna dell’originale completo del documento – sentenza al cancelliere nella cancelleria del giudice che l’ha pronunciata, avvia il procedimento di pubblicazione della sentenza che si compie, senza soluzione di continuità, con la certificazione del deposito mediante l’apposizione, in calce alla sentenza, della firma e della data del cancelliere che devono essere contemporanee alla data della consegna ufficiale della sentenza, in tal modo resa pubblica per effetto di legge. E’ pertanto da escludere che il cancelliere, nell’espletamento di tale attività preposto alla tutela della fede pubblica (art. 2699 c.c.), possa attestare che la sentenza, già pubblicata per effetto dell’art. 133 c.c., alla data del suo deposito, è pubblicata in data successiva, e se sulla sentenza sono stati apposte due date, una di deposito, senza espressa specificazione che il documento depositato contiene la minuta della sentenza, e l’altra di pubblicazione, tutti gli effetti giuridici derivanti dalla pubblicazione della sentenza decorrono dalla data del suo deposito”.

Questo il principio di diritto pronunciato con la sentenza 1 agosto 2012 n. 13794 dalla Cassazione civile Sezioni Unite, chiamata a dirimere il contrasto giurisprudenziale insorto tra due diversi orientamenti dei giudici di merito nati a causa del problema molto serio esistente in numerosi uffici giudiziari sovraccarichi di lavoro, per cui accade che  il cancelliere dapprima attesta, ai fini e per gli effetti di cui all’art. 2699 c.c., e art. 57 c.p.c., la data di deposito della sentenza, originale, completa, non necessitante di integrazione alcuna e successiva collazione e successivamente dichiara, in altra data da egli autonomamente determinata, che la sentenza “è pubblicata”.

Secondo l’orientamento maggioritario per effetto dell’art. 133 c.p.c., la sentenza è resa pubblica mediante il deposito risultante dall’annotazione apposta dal cancelliere in calce alla sentenza, con conseguente irrilevanza della diversa attestazione del cancelliere “sentenza pubblicata” in data successiva a quella in cui la sentenza risulta depositata in cancelleria (ex multis Cass. 732 del 1990, 2382 del 1994, n. 17290 del 2009 cit., 2740 e 24178 del 2011), perchè la suddetta norma prescrive, se al cancelliere è consegnata la sentenza originale e ufficiale, che egli, accertatane la rispondenza ai requisiti prescritti dall’art. 132 c.p.c., da atto del deposito, ed è in questa data che la sentenza “è resa pubblica” (Cass. 2084 del 1992, n. 20858 del 2009), con la conseguenza che l’eventuale successiva data di “pubblicazione”, non può attestare un evento già legalmente verificatosi; secondo l’orientamento minoritario, invece, se sulla sentenza pubblicata appaiano due date, una di deposito in cancelleria da parte del giudice e l’altra, successiva, di “pubblicazione”, indicata come tale dal cancelliere, è solo a quest’ultima che bisogna aver riguardo ai fini della decorrenza del termine lungo per l’impugnazione dovendosi considerare la prima data come se fosse stata depositata la minuta della sentenza (Cass. 12681 del 2008, 14862 del 2009, 13179 del 2011).

Con tale decisione le Sezioni Unite hanno chiarito che le norme che disciplinano il deposito della sentenza attribuiscono al giudice la responsabilità di stabilire il momento di compimento dell’attività giurisdizionale di decisione della causa – art. 281 quinquies primo comma: “Il giudice … deposita la sentenza in cancelleria.”; art. 281 sexies: “… il giudice pronuncia la sentenza … che si intende pubblicata con la sottoscrizione da parte del giudice del verbale che la contiene …”; art. 321 c.p.c., comma 2: ”La sentenza è depositata in cancelleria …”; art. 132 disp. att. c.p.c., u.c., e art. 119 disp. att. c.p.c.: “il Presidente e il giudice estensore sottoscrivono la sentenza” (Cass. 8979 del 2011, in motivazione), e non lasciano nessun margine di discrezionalità al cancelliere sulla data in cui darne atto. Quindi l’orientamento minoritario, inconciliabile con l’interpretazione letterale, teleologia e storica dell’art. 133, correlato all’art. 327 c.p.c., comma 1, non può avere seguito neppure per “non sottrarre alle parti una frazione, che può essere anche molto consistente, giungendo in situazioni patologiche ad alcuni mesi, del tempo utile per l’impugnazione”. Infatti, il difensore ha l’obbligo di svolgere il mandato con la diligenza in rebus suis e perciò non soltanto di informarsi periodicamente dell’esito della causa, ma anche, allorchè è reso edotto che il deposito della sentenza è avvenuto, di compiere da questa data tutte le attività che reputa nell’interesse del cliente, senza confidare su un’interpretazione dell’art. 133 c.p.c., secondo la quale il dies a quo decorre dalla pubblicazione, se successivamente avvenuta, ovvero attendere che questa venga attestata autonomamente dal deposito della sentenza.

La Corte tempera il suesposto principio concedendo che “qualora poi il giudice dell’impugnazione ravvisi, anche d’ufficio, grave difficoltà per l’esercizio del diritto di difesa determinato dall’aver il cancelliere non reso conoscibile la data di deposito della sentenza prima della pubblicazione della stessa, avvenuta a notevole distanza di tempo ed in prossimità del termine di decadenza per l’impugnazione, la parte potrà esser rimessa in termini ai sensi del vigente art. 153 c.p.c., comma 2.”

di Valentina Tazza

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